Salone di Francoforte 2013: la solita ‘vecchia’ Fiat

Settembre 21st, 2013 § 0

Certo è come sparare sulla Croce Rossa, ma il “caso” Fiat – cui ci siamo dedicati in passato e di cuiMontrone ha scritto in questi giorni sul fattoquotidiano.it – senza alcun accanimento, né disfattismo e vittimismo italiota, oltre ad essere significativo in sé permette di ragionare sui problemi dell’impresa e del lavoro contemporanei, in particolare in Italia.

Al Salone di Francoforte la maggioranza delle case automobilistiche presenta prototipi e vetture che ragionano su nuove fonti energetiche; Fiat soprattutto restyling di modelli vecchi.

Come ho già avuto occasione di scrivere – e con me altri con più dovizia – si tratta di un’azienda “senza prodotto”, con ridotta ricerca e sviluppo, poca applicazione a conoscere dove stanno andando persone e mondo. In sostanza, ma non diciamo nulla di nuovo, soprattutto una finanziaria.

Il rapporto fra impresa e finanza oppure l’ingresso delle logiche finanziarie nelle aziende ne hanno profondamente mutato caratteri, logiche e prassi. Dal nostro punto di vista è sostanziale la riduzione di interesse per il tema del lavoro, in termini di occupazione ma anche di lavoro “ben fatto” e di “buon progetto”, che invece da sempre caratterizzano il made in Italy.

In tutta evidenza è una questione che non riguarda unicamente la sola e “solita” Fiat, ma anche una certa quantità di industrie italiane. Si tratta di un modello di impresa, che negli anni ci è stato spacciato come obbligatorio anche dagli economisti: bisogna essere grandi dimensionalmente e finanziariamente, delocalizzare la produzione, “ottimizzare” i costi con l’ansia del rendimento nel breve tempo per azionisti e manager; conta solo la forza del brand o il mercato del lusso e cosi via.

In questo modo in Italia ci siamo forse giocati il sistema distrettuale, un’equilibrata evoluzione delcapitalismo familiare o il passaggio ad uno manageriale, senza parlare dell’idea di un’impresa “responsabile”. Certo in questi decenni perduti – inseguendo rimpianti passatisti o necessità personali ma, e questo è ancora più grave, per miopia o connivenza senza capacità di contrasto o proposta alternativa – qualcuno ha illuso che si poteva continuare ad evadere il fisco, fare in nero o pagare mazzette; le associazioni di categoria hanno privilegiato le relazioni politiche piuttosto che le politiche di conoscenza e di innovazione; il sindacato ha difeso le proprie rendite di posizione, dedicando limitate attenzioni al lavoro e ai lavoratori “nuovi”.

Esempi a livello mondiale ci parlano di altre possibilità e modelli, che si muovono in equilibro fra locale e globale, esplorano la “coda lunga” dei mercati non necessariamente massificati e omologati senza qualità, coltivano strategie di lungo periodo e identità, assieme all’obbligata necessità di sapere, conoscenza e progetto di fronte a trasformazioni di tecnologiche, media, società e cosi via.

Certo si fa molto prima a dire che c’è crisi e non ci sono più soldi; la questione invece è dove metti quei pochi o tanti che hai. Di sicuro Fiat non li ha messi nei prodotti che, come dimostra ancora Francoforte, sono vecchi e datati nella concezione e nel design. In compenso continua a investire denari ad esempio in pubblicità televisiva e sui giornali, per catturare il mercato o, viene anche il dubbio, allo scopo di ammorbidire l’esercizio della libera opinione giornalistica. Ma qui la questione più generale e grave rimane quella del rapporto drogato fra media e potere politico ed economico.

Questo permette di affrontare un altro problema, anche in questo caso non solo Fiat, relativo al ruolo malinteso e allo strapotere della comunicazione, in termini di logiche di investimento. Nessuno nega necessità e piacere del “comunicare”, ma – in epoca di rinnovate possibilità legate ai nuovi media, alle tecnologie, al ritorno della mai sopita forza del “passaparola”, legata alla reputation aziendalee dei prodotti – talune modalità e strumenti paiono datati, non propriamente prioritari, decisivi né memorabili. Un unico imperituro ricordo, ad esempio, rimane dei passaggi televisivi torinesi: i bobbisti giamaicani del Doblò e davvero troppo poco altro.

Per fortuna non tutte le imprese italiane sono decotte; ai segnali nuovi che arrivano da quelle che stanno affrontando questa fase difficile e di trasformazione è allora utile guardare; per questo provo a promettere a me stesso di non occuparmi più di Fiat! Almeno fino al prossimo modello…

pubblicato su “Il fatto quotidiano”, 19 settembre 2013

Comments are closed.

What's this?

You are currently reading Salone di Francoforte 2013: la solita ‘vecchia’ Fiat at Alberto Bassi.

meta